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Images en mouvement al Musée de Vence – Intervista all’artista Jeanne Susplugas

Oggi a Radio Nizza torniamo a parlare di arte e più precisamente dell’esposizione che dal 3 febbraio e fino al 28 aprile è allestita al Musée de Vence: Images en mouvement con opere di Fernand Léger, Raymond Hains e Jacques Villeglé, Vincent Broquaire, Boris Labbé, Jérôme Allavéna e Jeanne Susplugas.
Si tratta di un percorso storico di artisti visivi che hanno sperimentato e sperimentano il potenziale dell’immagine in movimento. A partire dall’invenzione del cinema infatti questo mezzo ha da subito suggerito un utilizzo in campo artistico e un’intera produzione di film d’animazione, video e installazioni si è sviluppata nel tempo seguendo i progressi tecnici e tecnologici di questo mondo in perenne trasformazione.
Partendo da Fernand Léger e dal duo Hains-Villeglé come figure chiave storiche, la mostra riunisce poi diversi esperimenti di immagini in movimento contemporanee. 

Ascolta il podcast realizzato per Radio Nizza sull’esposizione e l’intervista a Jeanne Susplugas

Ecoutez le podcast sur l’exposition et l’interview de Jeanne Susplugas (en français)

L’esposizione Images en mouvement

Fernand Léger pioniere della sperimentazione

La prima sala al piano terra è dedicata a Fernand Léger, vero pioniere della sperimentazione, che nel 1924 girò il suo Ballet mécanique. Questo cortometraggio ipnotico e astratto fu una rivoluzione nel cinema sperimentale. Le inquadrature ripetitive e la decisione di non scrivere una sceneggiatura furono uno shock per il mondo della settima arte. In un articolo pubblicato nel 1922 Léger aveva esposto la sua concezione del cinema. Scriveva che questa formidabile invenzione dà vita alle immagini dando loro la possibilità di non aver più bisogno di testi, descrizioni, prospettive, sentimentalismi o attori.
Realizzato in collaborazione con il cineasta americano Dudley Murphy, specializzato nella sincronizzazione di immagini e musica, e con la partecipazione di Man Ray, Le Ballet mécanique nasce da una composizione del musicista George Antheil che cercava per essa un accompagnamento cinematografico. Léger si offrì di finanziare il film e si occupò della sua produzione. Il risultato fu un’opera che egli amava definire “il primo film senza sceneggiatura”.

Raymond Hains e Jacques Villeglé

Una seconda sala ci introduce all’opera di Hains e Villeglé che all’inizio del 1950 lavorarono assieme a un progetto cinematografico sperimentale. Raymond Hains aveva ideato una macchina che chiamò ipnagogoscopio che permetteva di filmare gli oggetti attraverso grandi vetri scanalati per creare deformazioni formali. I due artisti realizzano quindi grandi collage colorati in movimento ispirati ai colori di Matisse, ai costumi popolari bretoni e ai mosaici di Ravenna, e iniziano a girare un film muto che però rimase incompiuto e prese il nome di Penelope nel 1954. 

L’era digitale: Vincent Broquaire

In tempi contemporanei il bricolage è stato sostituito dalla tecnologia. Le opere di Vincent Broquaire ne sono un esempio. Si tratta di animazioni monocromatiche che si divertono a confondere i confini tra reale e immaginario, esplorando i legami tra la natura e le nuove tecnologie. L’artista si interroga sull’intrusione della tecnologia e sull’influenza delle interfacce digitali nella nostra vita quotidiana. Nelle sue opere lo schermo da elemento separatore diventa una sorta di finestra magica che mostra, come in una radiografia dell’immaginario, un mondo segreto e inaspettato in movimento, laddove sembrava nulla si muovesse.

Boris Labbé: l’ibridazione tra disegno e arte digitale

Troviamo poi i lavori di Boris Labbé che, partendo dalla propria pratica di disegno, unisce tecniche digitali con quelle specifiche del cinema d’animazione. I loop, la ripetizione, i pattern, le metamorfosi e il movimento perpetuo sono risorse essenziali del suo linguaggio audiovisivo. Nella mostra sono esposti due suoi video: Orogenesis e Kyrielle.
Il primo è un viaggio nell’astrazione, come un’ipotesi su come si sono formate le montagne. Generato utilizzando immagini satellitari e modelli 3D di Google Earth, nonché un sistema di elaborazione digitale delle immagini, il video presenta una vista aerea di una catena montuosa che subisce molteplici metamorfosi. Con una lunga carrellata a ritroso sembra che il tempo cammini al contrario mostrandoci le compressioni, le rotture e le erosioni del terreno. Fino all’aumento progressivo dell’entropia che ci restituisce una trama quasi omogenea, che ci riporta dal gigantesco delle cime alle dimensioni microscopiche di un tessuto.
Kyrielle, parola che significa significa “una lunga successione di cose varie” (è una contrazione dell’espressione liturgica Kyrie eleison) è costruita sulla ripetizione di cicli e ritmi. L’opera è stata costruita con 285 acquerelli.

Jérôme Allavéna

Emblematiche della nozione stessa di disegno, le opere video di Jérôme Allavena giocano con l’apparizione e la scomparsa. Attraverso un metodo di decostruzione-ricostruzione, Jérôme Allavena mette in discussione lo status, le dimensioni e la temporalità di un’immagine. Le sue immagini fluttuanti appaiono e scompaiono simultaneamente e costituiscono in un certo senso un’esplorazione della quarta dimensione, il tempo. Restituendo una proiezione bidimensionale di oggetti che sembrano fluttuare in un iperspazio, suggeriscono forme che in qualche modo lo trascendono e lo attraversano.

La realtà virtuale di Jeanne Susplugas

L’avvento della realtà virtuale ha spinto ancora più in là l’esplorazione dell’immagine in movimento. L’artista di Montpellier Jeanne Susplugas ha fatto della realtà virtuale il mezzo di molte sue opere. In I will sleep when I’m dead, esposta nella mostra di Vence, ci invita a esplorare l’interno di un cervello utilizzando un visore di realtà virtuale.
Preso in prestito da una canzone del gruppo rock Bon Jovi, il titolo della sua installazione fa riferimento ai nostri pensieri, così difficili da domare.
Attraverso questa opera i visitatori, muniti di visore di realtà virtuale, sono invitati a immergersi in una scatola cranica tra neuroni e sinapsi, a perdersi in un labirinto infinito e a imbattersi in “pensieri” materializzati da disegni. I viaggi possibili sono molteplici e un sensore dello sguardo  che segue da quale oggetto è attratto lo spettatore, ne sceglierà ogni volta uno diverso, dando vita a un’esperienza legata ai pensieri individuali. I disegni presentati si basano su interviste condotte dall’artista tra il 2017 e il 2020 a persone alle quali Jeanne Susplugas ha chiesto di condividere i pensieri per produrre dei “neuro-ritratti” del loro cervello.
Dopo aver apprezzato la sua recente installazione in situ alla Cittadella di Villefranche-sur-mer di quest’estate, Radio Nizza ha avuto il piacere di intervistare Jeanne Susplugas, che ci ha raccontato di più sull’opera presentata a Vence.

Jeanne Susplugas

L’intervista a Jeanne Susplugas

Antonella Fava: La mostra di Vence traccia una linea temporale ideale a partire dai primi esperimenti in cui le immagini in movimento e i film sono stati utilizzati per creare opere d’arte. In che modo si sente parte di questo filone che, a partire dal Ballet mécanique di Fernand Léger, si è iscritto programmaticamente in una prospettiva sperimentale e in qualche modo avanguardista?

Jeanne Susplugas: È vero che l’esposizione di Vence si inserisce in una visione sperimentale dell’immagine in movimento. E devo dire che sono molto emozionata di essere presente in questa mostra, che è anche una mostra storica. Non so se mi colloco esattamente in una prospettiva sperimentale o d’avanguardia. La realtà virtuale esiste già da tempo, anche se è vero che rimane ancora sperimentale dal punto di vista tecnico, dato che i visori si evolvono rapidamente. Quello che è presente in mostra per esempio è il Quest2 . Questo visore non richiede la connessione a un computer, offrendo una maggiore libertà e semplicità d’uso. Si tratta di una tecnologia relativamente nuova, con circa cinque o sei anni di vita. Anche i software per la realtà virtuale sono sempre più performanti. Inoltre, al momento sono ancora pochi gli artisti che si appropriano davvero di questo mezzo. Ce ne sono comunque e non sono affatto isolata. Tuttavia, la realtà virtuale rimane spesso legata alla cultura del videogioco, con una sorta di obbligo inconscio di includere effetti sensazionali e cose simili.
Mi sono posta queste domande anch’io quando ho iniziato a esplorare la realtà virtuale. Ho voluto mantenere qualcosa di questa eredità del gioco, ma ho subito escluso tutto ciò che era puramente sensazionalistico, come effetti da otto volante, ascensori o vertigini. Nella navigazione, invece, ho voluto mantenere l’aspetto ludico. Ecco perché ho utilizzato il sistema di Eye Tracking, che cattura il movimento degli occhi e consente una navigazione personalizzata.

Un pulsante off per il cervello

A.F.: Il viaggio proposto dal lavoro che presenta in questa mostra è un viaggio all’interno del cervello: quando indossiamo il visore 3D, siamo al centro di una rete di sinapsi da cui scaturiscono i suoi disegni, che rappresentano i nostri pensieri, le nostre emozioni e le nostre fobie. Il titolo I will sleep when I’m dead sembra suggerire che tutta questa attività cerebrale sia una condanna…

J.S. : È interessante l’idea di usare la parola “condanna”, non l’avevo vista da questa prospettiva. In realtà, per me il titolo, I will sleep when I’m dead era piuttosto l’idea  di un’attività cerebrale permanente, a volte quasi ossessiva. Spesso è molto stancante e vorremmo solo staccare la spina dal nostro cervello. Io vorrei tanto avere un pulsante “off” per prendermi una vacanza da me stessa, ma non funziona così. Ci parlano di meditazione e altre tecniche, che tra l’altro pratico, ma non sono mai abbastanza riposanti. Il senso era più questo. C’è anche un senso di urgenza. Forse qui si ricollega all’idea di condanna, certo. È che sì, io la sento, e siamo in tanti a sentire questa urgenza. L’urgenza di vivere, semplicemente, ma anche di fare il massimo di questa esperienza di vita. Quindi, leggere, ballare, ridere, imparare, ecco… Quindi sì, in un certo senso, c’è una condanna. La parola può suonare un po’ forte, detta così, un po’ radicale. Ma d’altronde, questa radicalità è nel titolo. Non è un’espressione mia, è tratta da una canzone, ma è anche un’espressione che usiamo regolarmente. C’è una sorta di cinismo, ma abbastanza divertente, in fondo. È una radicalità che diverte. Me, almeno. 

Jeanne Susplugas

La realtà aumentata come mezzo artistico

A.F.: Molti dei suoi temi ricorrenti si ritrovano nell’opera: il cervello, le dipendenze, la casa, ma il modo in cui il pubblico fruisce questo lavoro è molto specifico. Implica il trovarsi in una situazione quasi claustrofobica. E come in una dipendenza, si è esclusi dal contesto reale, da cui non si riceve praticamente alcuno stimolo, e assorbiti da una realtà illusoria che ci rende in un certo senso assenti. La tecnica utilizzata è quindi molto importante, e anche se si può simulare il contenuto dell’opera con un ‘classico’ video bidimensionale, in realtà può essere apprezzata appieno solo in questo modo. Ha mai pensato alla possibilità di vendere le sue opere anche su questo supporto? 

J.S. : In effetti la scelta della realtà virtuale per questo progetto è stata davvero molto importante. Riflettevo su questo mezzo da anni e ero fortemente intenzionata ad utilizzarlo e sperimentarlo. Cercavo il progetto giusto per il mezzo giusto. In fondo, questo è il mio lavoro: mi interessa sperimentare nuovi mezzi. Il mezzo è al servizio delle idee. Io mi chiedo sempre qual è il miglior mezzo per l’idea che voglio esprimere. Nel 2016, ho iniziato a dialogare con alcuni neuroscienziati dell’Istituto Pasteur, in particolare con uno, per discutere di idee e del fatto che, in definitiva, sappiamo ancora poco del cervello, di come nascono le idee, i sogni e gli incubi.
Ho iniziato a disegnare. Ho realizzato sinapsi e ritratti di persone. Chiedevo loro di confidarmi i loro pensieri del momento. Una decina, una quindicina di pensieri senza rifletterci troppo. E inizialmente loro mi dicevano cose come “devo pensare a fare la spesa”, “devo andare a prendere i bambini a scuola”, “devo prenotare i biglietti del treno”. Poi nel corso di queste conversazioni, generalmente brevi, emergevano rapidamente pensieri più profondi e ossessivi. “Ho molta paura della morte”, “penso molto alla malattia”, “sono molto preoccupata per i soldi”, “subisco violenze al lavoro”, “vivo violenze familiari”.

Jeanne Susplugas

Viaggi nel cervello

Ho iniziato a cercare su Internet come materializzare queste idee. Se le persone mi parlavano della morte, spesso immaginavano un teschio o una mietitrice. Mi sono ispirata a queste descrizioni e disegni per creare un linguaggio relativamente facile da decifrare, che potesse essere pseudo-universale. Quando ho iniziato a mostrare questi disegni, mi sono resa conto che diventavano quasi interattivi. Le persone si chiedevano subito se si trattasse di un uomo o di una donna, cosa che trovavo molto divertente. Non l’avevo previsto. Lo trovavo molto binario, ma ok, perché no? Le persone si appropriavano delle storie o se ne raccontavano di nuove.
Ho quindi sviluppato questo progetto con un piccolo programma Snapchat. Ero stata invitata a una mostra per un brand. L’idea era che le persone prendessero il loro telefono e, su Snapchat, sollevassero le sopracciglia per avere un piccolo viaggio di 10 secondi nel loro cervello.
Anche in questo caso, mi sono resa conto che le persone ci cascavano, tra virgolette, in 10 secondi. Mi dicevano: “Come hai fatto a sapere a cosa stavo pensando?” E io rispondevo: “È solo un piccolo programma, un algoritmo. Non ne so nulla. È solo per divertirsi.” E ho pensato: “Ecco, questo è il progetto che devo realizzare in realtà virtuale.”

Un lavoro di squadra

Perché in fondo, il cervello, l’infinito del cervello, è anche l’infinito di questo mezzo che è la realtà virtuale. E questo mi permetteva anche di mostrare e sperimentare un’enorme quantità di pensieri. Una volta che ho iniziato a lavorare su questo progetto, ho fatto una residenza ad Arles durante le Rencontres de la Photographie per incontrare professionisti e capire come approcciarlo. Non è facile immergersi in mezzo come questo, che richiede un lavoro di squadra. Fortunatamente, ho avuto la possibilità di realizzare un dossier e ottenere dei finanziamenti. Quindi ho potuto realizzarlo relativamente velocemente.

Le nuove piattaforme

Per quanto riguarda la possibilità di vendere opere su questo supporto, sono stata invitata a molti festival. Da settembre 2020, l’esperienza viaggia senza sosta in luoghi molto diversi: centri d’arte, musei, gallerie, ma anche incontri di arte e scienza o eventi scientifici puri. Ho persino partecipato a tavole rotonde con medici, neurologi, neuroscienziati, psichiatri e specialisti del sogno.
Mi ha catapultato in avventure davvero entusiasmanti e divertenti. Alcuni mesi fa sono stata invitata a un festival alle Maldive. Ho realizzato una sorta di esperienza basata su I will sleep when I’m dead, con una personalizzazione su temi legati alle Maldive. L’opera è stata acquistata dal festival e dalla sua collezione. È una collezione privata che è in accesso libero per tutti i tipi di visitatori. E questo è anche qualcosa che mi interessava molto in questo progetto. Raggiunge un pubblico molto ampio che non ha necessariamente conoscenze di arte contemporanea.

A.F.: Immagina un futuro in cui le opere d’arte vengono acquistate da un App Store piuttosto che da una galleria d’arte?

J.S. : Sì, certo, esistono già delle piattaforme per la diffusione di questo tipo di progetti. Io faccio parte di una piattaforma chiamata Radiance, creata dalla curatrice tedesca Tina Sauerlander. Permette di visionare e caricare esperienze. In Francia, stanno nascendo altre piattaforme, come quella dei miei produttori Lucid Reality, che in questi giorni lanceranno una piattaforma con molte esperienze esistenti e future.

Jeanne Susplugas tra 2D e 3D…

A.F.: Ci parli del modo in cui è stata realizzata l’opera, della complessità di un lavoro così immersivo e del tipo di strumenti utilizzati.

J.S. : Ho accennato brevemente alla tecnica. Un progetto del genere richiede molte conoscenze e la creazione di un piccolo team. Ci sono persone che coordinano, un programmatore e, nel mio caso, anche una graphic designer 3D, perché la sfida tecnica era far coesistere la 2D con la 3D. Parlavamo di avanguardia. Questo è qualcosa di abbastanza nuovo, perché ho sperimentato molto e non ho trovato molte esperienze che mescolassero 2D e 3D. Esistono esperienze in 2D, ma questo mi interessava molto perché una delle domande dell’esperienza era: “A che punto è il disegno oggi?. È ancora legittimo disegnare? Come possiamo farlo evolvere?”
Mi interessava davvero riflettere sul disegno. La difficoltà tecnica era far assomigliare la 3D al mio disegno 2D. Ho creato disegni 2D che se li guardi velocemente, sembrano 3D. Per far sì che le forme 3D assomigliassero al mio disegno, ho dovuto scolpire la forma e texturizzarla con il mio disegno.

… e tra videogiochi e musica

Sono stata aiutata, perché anche se l’esperienza sembra semplice a prima vista, in realtà è piuttosto complessa. È come un videogioco enorme, con un sistema di binari che permette di navigare al suo interno. Ho anche lavorato con un compositore, Vincent Lagadrière, di Super Post Studio. Il suo ruolo era molto importante, perché non volevo sottotitoli o sovrascritte, che in realtà virtuale sono complicati e rompono la magia e l’onirismo della mia mostra.
Ho scritto dei testi per ogni pensiero attivo, circa una trentina. Per ognuno, ho indicato l’atmosfera desiderata: gioiosa, stridente, angosciante, ecc. Lui ha perfettamente soddisfatto le mie richieste e sono molto felice delle emozioni che la musica suscita.
Infine, per avere aiuti, servono dei produttori. Questo è un aspetto che conosco poco, dato che lavoro in modo relativamente indipendente. Di solito collaboro direttamente con la galleria, il centro d’arte o il museo. Ma in questo caso, è un po’ più complesso. È necessario avere un po’ di finanziamenti in anticipo per poter pagare il team.

Ringraziamo Jeanne Susplugas per averci offerto un viaggio così approfondito nella sua incredibile opera. Per il viaggio vero, o meglio in realtà virtuale vi invitiamo invece al Musée de Vence, dove potrete sperimentare in prima persona il vostro percorso personale in I will sleep when I’m dead.