Juliette Frescaline, la morbidezza vuota del metallo
Juliette Frescaline è un’artista francese che lavora il ferro. Soprattutto il fil di ferro.
Lo srotola, lo avvolge, lo torce e gli dà una forma che spesso dimentica del tutto qual è la materia che l’ha modellata.
Partire da ciò che è lineare per creare nuove realtà ha già di per sé qualcosa di estremamente potente, di demiurgico. Testimonia di un atto che ha un’origine e con continuità sviluppa un senso.
Anche il legame con il disegno e con lo schizzo nei lavori di Juliette Frescaline appare potente. Lo è senz’altro nella genesi dell’opera, che nasce come creazione di un volume e quindi dei dettagli a partire da linee che si complicano su se stesse.
Ma c’è di più perché nel caso di Juliette quello che lei riesce a creare svela quanto la rigidità del metallo e più in generale la solidità della materia siano spesso un’illusione.
Tra le sue mani il metallo assume l’apparenza di una sostanza a volte morbida, spesso vellutata e dà sempre l’illusione che ci sia molto “pieno” dove in realtà c’è per lo più del vuoto.
È il nostro sguardo in realtà a completare l’oggetto, a chiudere le linee a colmare un vuoto, a completare un’assenza.
La sua ispirazione le viene soprattutto dall’osservazione degli oggetti che la circondano: una corteccia, un pizzo, un albero spoglio in inverno; “il mio lavoro è solo una trascrizione del reale” afferma “io trascrivo ciò che sento”.
I suoi lavori astratti rispondono per lo più a un’istanza di accumulazione. Juliette descrive in questi casi il suo lavoro come qualcosa che cresce su se stesso, che cerca la sua forma attraverso volumi che si moltiplicano, crescono e debordano. È il troppo a rendere l’oggetto più potente.
Nei soggetti naturali, come gli alberi e gli animali le superfici sembrano trovare una vibrazione che non è senza relazione con il movimento, mentre gli abiti, i tessuti, i merletti, che con il filo hanno un legame materico primordiale, giocano ancora una volta con l’illusione di quanto trama e ordito si intreccino in realtà attorno al vuoto.
Nelle sue opere più recenti il filo lascia il posto a superfici di metallo più estese, alle quali a volte aggiunge materiali di recupero come lattine, barattoli o resti di cantiere.
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