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1972. Prisencolinensinainciusol, la canzone nonsense di Celentano sdogana l’inglese maccheronico e libera i suoni delle canzoni dal loro significato

Nel 1972 Adriano Celentano (1938) scrive una delle sue canzoni più celebri: Prisencolinensinainciusol. Con il suo testo senza senso, che doveva suonare come l’inglese americano, è stata riscoperta anche in tempi recenti e remixata da famosi disc jockey

Un successo televisivo

Prisencolinensinainciusol non ebbe successo al momento del rilascio, ma esplose nel 1973 dopo che Celentano la eseguì durante la trasmissione televisiva Formula 2 in onda sul Programma Nazionale, l’odierna Rai 1. In seguito all’esibizione, in cui era presente anche la moglie Claudia Mori (1944), la canzone arrivò in vetta alle classifiche, prima in Italia, poi anche in Francia, Belgio e Olanda. Salì non poco anche nella classifica tedesca e riuscì persino ad entrare nella Top 100 americana.

Lo slang incomprensibile

Il testo della canzone è composto da uno slang i cui fonemi non corrispondono ad alcun significato. I suoni ricordano – in modo incredibilmente riconoscibile anche ai parlanti anglofoni – l’inglese americano, ma solo poche combinazioni sono riconducibili a significati reali: olrait nel ritornello, not s de seim laikiu e iu nau in trabol nelle strofe, per esempio. Nessun senso compiuto è però ricostruibile. Nonostante ciò la sensazione di un significato nascosto rimane molto forte, grazie all’interpretazione intensa di Celentano che sembra suggerire attraverso l’intonazione quello che le parole non dicono.

Le prime interpretazioni

L’umana volontà di dare un senso alle cose spinse i primi esegeti a pensare si trattasse di un acronimo. Altri notarono che su diverse edizioni del disco il titolo era scritto con le prime 6 lettere in maiuscolo e sempre con molta attenzione agli accenti (PRISENcolinènsinàinciùsol); cercarono quindi di scomporlo, arrivando a ipotizzare fosse un mosaico di diverse lingue europee. 

La spiegazione dei collaboratori…

I collaboratori del cantante spiegarono presto però che quella di improvvisare il testo in inglese maccheronico era un’abitudine che aveva Celentano. Ciò gli permetteva di lavorare sul brano prima di elaborare i testi definitivi in italiano. In questo caso però, alla fine del provino, Adriano sarebbe rimasto talmente soddisfatto del risultato da decidere di lasciarla così.

…e quella di Celentano

Fu proprio durante la trasmissione televisiva Formula 2 che Celentano diede la sua spiegazione. Presentatosi in veste di insegnante la sua esibizione cominciò proprio con lo spiegare a una dozzina di allieve il vero tema della canzone: l’incomunicabilità. Prisencolinensinainciusol significherebbe “amore universale”, un valore che non si riesce più a comunicare.

Prisencolinensinainciusol

Questa è diventata poi la versione ufficiale del significato di Prisencolinensinainciusol. Anni dopo, Celentano lo confermò nel suo libro Il paradiso è un cavallo bianco che non suda mai (1982) affermando: “E’ un pezzo che rappresenta la situazione del mondo di oggi, nel quale è difficile comunicare”.

L’intervista alla NPR 

Nel 2010 l’allora settantaquattrenne Celentano, intervistato in una puntata di All Things Considered della National Public Radio americana ribadì lo stesso concetto: “Quindi ad un certo punto, visto che mi piace il gergo americano – che, per un cantante, è molto più facile da cantare dell’italiano – ho pensato che avrei scritto una canzone che avrebbe avuto come tema l’incapacità di comunicare”, disse “E per fare questo, ho dovuto scrivere una canzone in cui i testi non significano nulla.”

L’anglofilia….

Il testo di Prisencolinensinainciusol intendeva imitare il modo in cui l’inglese americano suona per i non anglofoni. Da un lato Celentano voleva dimostrare che agli italiani il suono della lingua inglese piace indipendentemente dal fatto che capiscano o meno quello che viene detto.

…e l’anglofonia

Dall’altro il modo in cui Celentano è riuscito a rendere il suono dell’inglese americano ha dell’incredibile. Basta scorrere i commenti di utenti anglofoni sotto il video presente oggi su YouTube: molti si stupiscono di non comprendere lil significato, tanto il suono delle parole suona come un vero inglese americano. Arielle Saiber, una studiosa di lingue romanze, professoressa al Bowdoin College afferma a questo proposito: “quando ho ascoltato per la prima volta la canzone di Celentano sono rimasta molto impressionata dalla sua americanità“ – dice –  “In particolare enfatizza il suono nasale americano, borbottante, elaborato, che è diverso da quello pulito dell’inglese britannico o dell’italiano melodico.”

Rap, scat jazz….

Associata spesso al rap, in realtà questa canzone se ne allontana sia negli intenti che nella realizzazione: il parlato non esiste, visto che il testo è programmaticamente privo di senso: fonemi privi di significato ispirati alla musicalità di un inglese inventato sono il suo modo di appropriarsi della parola-suono, a metà tra lo stile scat del vecchio jazz e il grammelot di Dario Fo. 

…e grammelot

Alla base del grammelot, che risale alla Commedia dell’Arte del 1600, c’è proprio il fatto di avere a disposizione un repertorio degli stereotipi sonori più familiari di una lingua per ricrearne i ritmi e le cadenze. E Celentano ha certamente catturato i suoni stereotipati americani di quel periodo da film e canzoni rock, proprio come i comici teatrali della Commedia dell’Arte che imitavano un linguaggio regionale.

Versione orale

E come nella Commedia dell’Arte anche in questo caso si tratta di improvvisazione. Celentano ha infatti dichiarato di non aver mai scritto il testo, ma di averlo registrato su un ritmo in loop.

I remix

Il brano ha conosciuto un successo continuo nei decenni, dimostrato dai numerosi remix come quelli di Molella (1964) e quello di Fargetta (1962) nel 1992 e soprattutto quello di Benny Benassi (1967) nel 2016. Quest’ultima versione accompagnava una coreografia creata appositamente da Roberto Bolle (1975) per la serata evento di Rai 1 Dedicato a MinaCelentano. Il video, in cui appare lo stesso Celentano, è stato girato a Milano nella Galleria Vittorio Emanuele e nel Teatro alla Scala.