Diane Meyer, la pixelizzazione analogica della memoria
Diane Meyer è un’artista di Los Angeles la cui ricerca sulla percezione del tempo si basa sulla rielaborazione di fotografie analogiche.
La memoria e l’oblio, ciò che resta e ciò che non c’è più – nella realtà come nei nostri ricordi – vivono nelle sue opere intrecciandosi nella materia stessa di cui sono fatte: la carta su cui le foto sono stampate e il filo con il quale le ricama.
Come quello delle Parche, il filo che tesse il suo mondo crea e dissolve e soprattutto ci rivela che il ricordo, in quanto tale, è sempre imperfetto.
L’operazione che Diane Mayer compie sulle fotografie è al tempo stesso un atto di materializzazione e di smaterializzazione dell’immagine.
L’oggetto fisico della foto stampata è lavorato dall’artista attraverso il ricamo, trasformato e arricchito da un gesto creativo che in genere è associato alla decorazione e all’abbellimento.
Attraverso questo gesto in realtà l’artista mette in atto una dissolvenza di parte delle immagini. Non sono parti casuali, sono quelle che non ci sono più, ma non del tutto. Sono quelle il cui ricordo è tanto presente da esserci ancora, in qualche modo.
È una sorta di pixelizzazione quella cui si assiste, una scomposizione in entità meno definite che però sono al tempo stesso molto più materiche dell’immagine stessa.
L’uso che fa del colore, nella scelta dei suoi fili, è molto più di una suddivisione: la tavolozza dei suoi ricami non si limita a scomporre i colori ma piuttosto li moltiplica, ne esalta le diverse sfumature per dare ancor più profondità a quello che è (quasi) svanito.
La serie “Berlin” comprende 43 fotografie ricamate a punto croce, scattate lungo il tracciato su cui sorgeva il muro di Berlino.
In molte di esse le sezioni ricamate rappresentano l’esatta posizione dell’ex muro, il ricamo appare quindi come una traccia nel paesaggio di qualcosa che non esiste più, ma è comunque un peso per la memoria.
Una seconda serie applica lo stesso tipo di lavorazione a foto che rappresentano ricordi personali.
In “Time Spent That Might Otherwise Be Forgotten”, il ricamo a punto croce è stato cucito direttamente sulle fotografie di famiglia.
Essendo alcune aree dell’immagine nascoste dal ricamo, sono i piccoli dettagli apparentemente banali ad emergere, mentre l’immagine nel suo insieme e il contesto vengono cancellati.
Il lavoro di Diane Meyer indaga nel suo insieme sulla disgiunzione tra l’esperienza reale e la capacità della rappresentazione fotografica di soppiantare la memoria.
Da un lato il linguaggio visivo imita la corruzione di un file digitale, dall’altro la matericità dei lavori e della loro rielaborazione rimandano per contrasto alla tendenza di conservare sempre di più le immagini su supporti digitali.
L’inaffidabilità e la persistenza della nostra memoria vanno di pari passo con la fragilità e la permanenza di quella digitale.
Esplorate il suo sito e seguitela sul suo profilo Instagram.