Passaggio in laguna
Giusto un passaggio, ecco quello che è stato il nostro rapido soggiorno di circa un mese fa a Venezia. Un passaggio talmente rapido da non lasciare nemmeno il tempo ai ricordi di sedimentare: si sono sciolti ancor prima di fissarsi, tra una corsa sul vaporetto e una sudata attraverso le calli sotto un sole di inizio giugno incredibilmente cocente.
Un passaggio è però pur sempre qualcosa che lascia una traccia: un minimo di impronta alla fine rimane anche quando la pressione non è eccessiva, se la materia su cui è impressa è sufficientemente permeabile. La mia memoria lo è pure troppo.
Poi ci sono i sensori delle macchine fotografiche, ma quella è un’altra storia.
In realtà anche questi pochi giorni sono bastati per aggiungere uno strato significativo a ciò che già possedevo di questa città. Tutti hanno almeno un ricordo di Venezia, anche chi non ci è mai stato.
Credo sia questa una caratteristica dei “non luoghi”, quelli dei quali potresti immaginarti un angolo verosimile anche se inesistente e che chiunque riconoscerebbe appartenergli pur non essendoci mai stato.
O forse è più appropriato chiamarli “iperluoghi”, spazi la cui quantità di immagini al mondo basta ad assicurarne l’esistenza. Un po’ come per gli unicorni.
D’altro canto ho come l’impressione che ci siano un sacco di ricordi che non ricordo di Venezia.
Avevo dimenticato per esempio una Venezia bambina assieme a zia Margherita. Ora invece ricordo il treno, i mori, gli orecchini in vetro e i gatti. Chissà dove sono finiti tutti.
Cosa resterà di questa ultima Venezia? Martina e il labirinto del Ghetto con un canale senza più turisti e tanti ragazzi circondati dai riflessi arancioni dello spritz e del tramonto, la tavolozza di Burano, la notte più buia che c’è, il male alla biennale.
E poi tutte le foto che lascio anche qui, ad uso e consumo di chi voglia fare scorta di ricordi non suoi.
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