Edmond (2019)
Il film di Alexis Michalik appare come un adattamento della sua pièce teatrale omonima, messa in scena nel 2016 al teatro del Palais Royal. Si presenta quindi come una mise en abime interessante, visto che il soggetto dell’opera è la genesi del Cyrano de Bergerac, la pièce di Edmond Rostand che è la più rappresentata nella storia del teatro francese.
In realtà l’opera nasce per il cinema ed è solo per la mancanza iniziale di un produttore che ha dovuto attendere l’incredibile successo ottenuto poi a teatro per vedere poi la luce anche in quanto espressione della settima arte.
Ma questa interferenza tra teatro e cinema è solo l’ultima in ordine temporale a riguardare l’essenza e la genesi di questo film.
Il Cyrano di Bergerac fu infatti il più grandioso e fenomenale successo del teatro francese prima dell’arrivo del cinematografo, alla nascita del quale il regista rende omaggio in una delle prime scene, quando Edmond entra ad assistere ad uno dei primi spettacoli dei fratelli Lumière, e soprattutto nella scena finale della pièce, quando il palcoscenico si trasforma sotto i nostri occhi in una ripresa panoramica sul chiostro nel quale avviene lo scioglimento finale.
D’altro canto anche se la storia romanzata di come Edmond de Rostand scrisse il Cyrano ha una teatralità che colpisce da subito nel modo di gestire gli spazi e le riprese e in quello in cui i personaggi si esprimono, Michalik non cade mai nel tranello del teatro filmato, nemmeno quando le sequenze mostrano degli attori che recitano sul palcoscenico: l’uso di una camera a mano che ruota attorno ad essi dà alle scene un movimento che diventa a volte vorticoso, facendosi anche metafora visiva del turbine di sentimenti e della cadenza temporale serrata che caratterizzano la genesi dell’opera di Rostand, così come rappresentata da Michalik.
Egli immagina un Rostand (Thomas Solivérès) in crisi creativa che ritrova la sua ispirazione grazie all’intenso scambio epistolare con Jeanne (Lucie Boujenah), di cui il suo amico, l’affascinante attore Léo (Tom Leeb) è innamorato e che inizialmente aiuta a corteggiare, suggerendogli dei versi d’amore da indirizzare alla ragazza, giovane appassionata del teatro romantico.
La situazione che è alla base della trama del Cyrano è quindi qui raccontata attraverso le vite delle persone responsabili della sua nascita: Cyrano, Christian, Roxane sono al tempo stesso i personaggi della pièce e quelli del film e questo slittamento di piani riporta il teatro nella vita, anche se si tratta di quella della finzione cinematografica.
Il Cyrano de Bergerac di Rostand, a sua volta liberamente ispirato alla vita dello scrittore Savinien de Cyrano de Bergerac, fu rappresentato la prima volta il 28 dicembre 1897 al Théâtre de la Porte-Saint-Martin a Parigi.
Quella che Rostand riesce a mettere in scena è un’opera complessa, scritta in versi alessandrini, in cui intervengono una cinquantina di personaggi, con scenografie che cambiano ad ogni atto e che prevede anche una battaglia. Questo ad un’epoca in cui il dramma romantico è ormai scomparso in favore del Vaudeville o dei pionieri del teatro moderno (Chekov, Ibsen, Strindberg).
Michalik strizza l’occhio a questo particolare momento nella storia del teatro in Europa, non solo dando al film il linguaggio e l’ironia del Vaudeville, ma anche interpretando lui stesso la parte di Feydeau, uno dei maggiori autori di questo genere all’epoca.
Nell’insieme si tratta di un’opera organica e a mio avviso davvero riuscita, profonda e divertente, nonché splendidamente interpretata.