Jean-Michel Fauquet al Musée de la Photographie di Nizza
Esposto fino al 21 gennaio al Musée de la Photographie Charles Nègre di Nizza, Jean-MIchel Fauquet è molto di più di un fotografo. Le sue opere infatti sono il risultato di un lavoro su diversi piani che, quando non parte dalla scultura, si compone comunque di arte fotografica, stampa, pittura e installazione. Qui una galleria delle sue opere.
A Nizza sono esposti 150 suoi lavori tra sculture, disegni e sopratutto fotografie che danno vita a un mondo abitato da oggetti all’apparenza surreali ma il cui intento è di fare appello a una parte di noi su cui non abbiamo potere: la memoria.
L’artista vuole infatti in questo modo dare vita a un racconto, che lo spettatore può elaborare a partire dai suoi ricordi e dal suo personale immaginario. Per questo è importante anche il modo in cui le opere vengono installate nell’esposizione.
Ciò che rende le sue foto speciali è che esse, dopo la stampa, vengono alterate da molteplici interventi manuali: scalfita, caricata di inchiostro o grafite, ridipinta ad olio l’immagine viene poi cerata e incorniciata di nero.
Ma non è solo ciò che avviene dopo la stampa ad essere parte della creazione artistica, anche ciò che precede lo scatto fa parte del processo creativo. Le foto di Fauquet sono fatte sulla base di oggetti che lui stesso crea a partire da materiali effimeri, come i cartoni che trova per strada e che rielabora per dar vita a un mondo in cui gli uomini esistono solo se privati d’identità.
O come le sue sculture. Esse si avvicinano a volte a forme architetturali, oppure vegetali, più raramente antropomorfe.
Spesso poste su un espositore a mo’ di nature morte, sembra possano suggerire un’importante utilità, che però è inesistente. Il loro aspetto antico farebbe pensare a una funzione dimenticata, incomprensibile perché appartenente al passato. Nulla di tutto ciò: la stessa poca importanza del materiale di cui spesso sono fatti rivela che si tratta di falsi idoli.
E’ la fragilità la costante di fondo della sua opera. La fotografia in low-key, che rivela l’attesa costante di una luce che arrivi a illuminare il suo universo, ricorda che l’unica cosa reale è la concezione che di quella realtà ci si riesce a fare.
Fuori dallì’atelier sono gli alberi ad attirare la sua attenzione, nodosi, scarni o in gruppo compatto.
Gli alberi.