Falegnameria Lutteri di Arco
Ognuno ha i suoi luoghi della memoria. In genere sono quelli legati all’infanzia, case ormai scomparse o cambiate per sempre, città, piazze e vie divenute irriconoscibili col passare del tempo. Spazi, cortili, stanze cui si è in qualche modo legati ma che esistono solo nei nostri ricordi.
Uno dei miei però c’è ancora.
Era molto che non mi capitava di varcare la soglia di quella vera propria enclave spazio-temporale che è la falegnameria dei miei zii ad Arco. E’ incredibile come nulla lì sia cambiato. Nulla.
Si tratta della falegnameria che fu di mio nonno prima e dei miei zii dopo. Quella di via S.Anna, la via dove sono cresciuta, quella sotto la casa della nonna, in cui si passavano i nostri pomeriggi bambini.
Non ho fatto molte foto, un po’ perché non avevo con me gli obiettivi, un po’ perché ero distratta dalle chiacchiere con lo zio Giorgio che non vedevo da tempo.
E’ stato lui a dirmi, in risposta al mio stupore nel ritrovare tutto immutato, “Ecco fotografa bene tutto”… credo che parlasse metaforicamente, ma devo a lui il fatto di essermi resa conto di avere la macchina in spalla, mi sono stupita di non averci pensato subito ad immortalare quei locali.
Credo che quel bancone risalga al ’53, anno in cui la falegnameria è stata allestita, i segni del tempo su di esso sono gli stessi di 40 fa, quando lo guardavano i miei occhi di bimba.
Mi ha sorpreso rendermi conto di aver fotografato le immagini che avevo già negli occhi, gli scorci, i macchinari e i particolari che avevo già immortalato da decenni nella mia memoria, invece che andare a cercare quelli più pittoreschi o inconsueti.
Fare queste foto è stata una specie di conferma, un affermare a me stessa che sì, ricordavo ancora tutto.
Il locale con la sega circolare, in cui le segature assumevano a volte la forma di vere e proprie montagne
Quello della pialla a nastro con in fondo lo stipo dei ritagli di lavorazione dove si andavano a cercare i piccoli legni perfetti per accendere la stufa.
In quel locale c’erano anche le casette per i cani. Penso di aver avuto 4 o 5 anni ma le ricordo ancora. Mio zio se ne è stupito visto che si trattava di un lavoro che riguardava gli anni sessanta e che solo per pochi anni dopo la morte del nonno avevano continuato a seguire. Vedendone una però si capisce bene perché possano essere rimaste così impresse negli occhi di una bimba.
Mio nonno era anche pittore e creatore di mobili intagliati sopraffino. Non l’ho mai conosciuto, è morto prima che nascessi ma alcune sue opere ancora ci sono nelle case dei figli, mobili e qualche dipinto.
Infine mentre prendevo le foto mio zio Giorgio ha ricordato il progetto della Mnemoteca, che non conoscevo affatto: un insieme di interviste che il Comune di Arco ha patrocinato una decina di anni fa per registrare a futura memoria gli antichi mestieri artigiani della comunità.
Fu lui in quell’occasione a rilasciare l’intervista anche se in realtà l’attività della falegnameria ha poi riguardato i suoi due fratelli, mentre lui, diventato ragioniere, si è in seguito occupato principalmente di altro nella sua vita.
Mi ha fatto dono di una copia del dvd, ecco l’intervista completa:
La fine soprattutto mi piace un sacco, là dove mio zio si sofferma sull’aspetto sensoriale di questo lavoro.
Sì ricordo benissimo anch’io l’odore delle vernici e anche quello delle colle e dei mastici e poi quello del legno.
E’ meno intenso quello del legno ma ti penetra più in profondità, soprattutto quando diventa polvere. E’ allora che si ricorda di aver avuto un tempo radici e si installa lì nel profondo, da qualche parte che non sai e poi rispunta.