La butte – a spasso per Montmartre
Il quartiere di Montmartre deve il suo nome al martirio del primo vescovo di Parigi, Saint Denis, che qui venne decapitato e fino al 1860 restò un comune indipendente da quello della capitale francese.
La “butte”, alta 130 metri, non è l’unico quartiere di Parigi ad aver conservato un’atmosfera da villaggio, ma di sicuro è uno dei più affascinanti, con la sua vista impareggiabile su Parigi dall’alto, le scalinate che salgono al Sacré-Coeur e gli scorci caratteristici su tanti luoghi culto di questo angolo di città.
Ci ho passato una mezza giornata in passeggiata solitaria, così un po’ a zonzo camminando sui miei passi di almeno una quindicina di anni fa e sorprendendomi nel vedere che i piedi sapevano ancora dove andare.
La salita al Sacré-Coeur l’ho fatta con calma, gustando ogni scalino che mi faceva ascendere di un po’ sopra ai tetti di Parigi. Qualche goccia di pioggia non mi ha impedito di soffermarmi sulle panchine a osservare i turisti e i venditori di gadget più o meno kitch sullo sfondo di questa città che anche quando è grigia sa essere speciale.
Il Sacré-Coeur in quel momento è servito da riparo per parecchi turisti, ma la pioggia è finita subito, come spesso accade a Parigi, e sono salita alla cupola.
300 gradini che si aggiungono ai 222 della scalinata verso il sagrato, ma la vista da lassù, assieme alla simpatia dell’addetta alla vendita dei biglietti, ne vale davvero la pena.
Chi dice Montmartre dice artisti. Quelli storici, quelli di strada e quelli che affollano la place du Tertre.
Qui mi sono ricordata di quella volta in cui con la mia amica Ilaria ci siamo salite alle 6 del mattino, con il proposito di vederla sgombra da bancarelle e turisti. Suggestiva certo, se si prescinde dai mezzi che ne stavano facendo la pulizia e dai banchi ripiegati degli artisti ancora chiusi.
In fondo la piazza è bella anche così, colorata, rumorosa e un po’ folkloristica.
Queste vie che risuonavano un tempo dei passi di artisti come Picasso, Van Gogh, Zola, Toulouse-Lautrec, Renoir e Monet conservano ancora, tra i ristoranti e le boutiques di souvenirs, la memoria di quell’epoca.
Imbocco a sinistra verso la place du Calvaire e poi salgo di nuovo verso il Cabaret du Lapin Agile (l’avrà poi dipinto davvero A.Gilles quel coniglio?) e la celebre vigna di Montmartre, vecchia di più di 1000 anni e l’unica ancora esistente nella cinta cittadina.
Il tempo è migliorato e la luce della sera scalda il muro dei Ti Amo, dove spicca in tutte le lingue del mondo la più bella dichiarazione che orecchio umano possa sentire, nei pressi della stazione del metro Abbesses.
Questa, con i suoi 36 metri dal livello stradale è la più profonda stazione di Parigi. Le pareti della sua scala a chiocciola dalla quale sembra un po’ di salire dagli inferi, sono decorate da murales, spettacolari nella loro ricostruzione di panorami parigini.
Scendo per la rue Lepic, dove si trova il Moulin de la Galette e il locale Les deux Moulins, reso celebre dal film “le fabuleux destin d’Amélie” e infine ai piedi della collina, fino al Moulin Rouge.
Impossibile non tornare al Sacré-Coeur la sera, questa volta prendendo la funicolare, per ammirare le luci di Parigi dall’alto e quelle della Basilica bianchissima contro il buio.
Un commento
alberto
Tic tac tic tac… Scrivi cosi bene che il tempo impiegato a leggere si comprime tanto da sembrar fermo. Arrivati in fondo riparte chiaro col suo tic tac tic tac…