Lago maggiore – Isole Borromee
Una gita a… ogni volta che si fa un’escursione di questo genere mi viene in mente il celebre cruciverba della Settimana Enigmistica, che si proponeva (e molto verosimilmente si propone ancora, visto il poco dinamismo di quella rivista – ma confesso che non lo so, è tanto che non la acquisto), dicevo, si proponeva di far estrapolare dalle definizioni e dalle foto che corredavano lo schema la “meta della nostra gita”.
Chissà se ne è mai stato fatto uno che avesse come soluzione l’Isola Bella.
In ogni caso, incroci combacianti o meno, lì ci siamo diretti sabato scorso, approfittando di un nostro breve passaggio in terra lombarda.
Tra le isole Borromee l’unica che avevo già visitato, anche se un sacco di anni fa, era l’Isola Madre (probabilmente per fare il giro col battello più lungo, mi ha poi confessato Marco), quindi questa volta non ci sono storie che tengano, si visita l’isola principale, col suo palazzo e gli splendidi giardini che occupano gran parte della sua superficie.
Di proprietà ancora oggi della famiglia Borromeo sorge a circa 400 metri al largo di Stresa. Un tempo chiamata Isola Inferiore o di san Vittore, fu data in feudo ai Borromeo dai Visconti nel XV secolo. Fino al 1630 l’isola Bella era uno scoglio abitato da pescatori. I Borromeo già proprietari dell’isola Madre dal 1501, dal primo ventennio del seicento concentrano i propri interessi sull’isola dando avvio al progetto che porterà alla creazione del palazzo e del giardino.
Il palazzo fu iniziato nel 1632 quando Carlo III Borromeo decise di realizzarlo e dedicarlo alla moglie Isabella D’Adda, da cui prese il nome. Contemporaneamente, a opera dell’architetto Crivelli fu creato l’impianto generale dei giardini, con l’idea di dare all’isola la forma di una nave con la prua rappresentata dal palazzo e la poppa dalle terrazze dei giardini.
Per realizzare i terrazzamenti fu trasportata con le barche una grande quantità di terra, che copriva il suolo roccioso dell’isola. Il giardino ospitava aranci, limoni, bossi e cipressi, a cui si mescolavano coltivazioni di piante utili.
Dopo alterne vicende, interruzioni, pesti, riprese dei lavori e ristrutturazioni il progetto ebbe come suo fine quello di far diventare la villa il luogo di feste sontuose e rappresentazioni teatrali per la nobiltà europea. Furono aggiunte le decorazioni in pietra (balaustre, statue, obelischi, vasi) e al piano terra una serie di stanze aperte verso il giardino furono decorate a grotta con motivi che appassionarono Stendhal.
Il palazzo venne completato dal principe Vitaliano X nel XX secolo. Fu lui a terminare la facciata nord e il molo collegato e realizzò il grande salone sulla base del progetto originario.
Il palazzo ha pianta a T dominata dalla facciata lunga 80 m, con al centro la sporgenza curvilinea del salone d’onore, sviluppato su due piani e coperto a cupola.
Al primo piano, intorno al salone centrale si trovano sale decorate e arredate, tra cui la sala di Napoleone dove questi soggiornò nel 1797, la sala del Trono e la sala della Musica, dove si svolse nel 1935 la Conferenza di Stresa.
Gli ambienti ospitano quadri di noti pittori, tra i quali Luca Giordano, Francesco Zuccarelli e Pieter Mulier, detto il Tempesta. Nella galleria degli Arazzi sono conservati arazzi fiamminghi cinquecenteschi con scene di animali simboleggianti la lotta tra il Bene e il Male.
Nel 2008 è stata inoltre riaperta al pubblico anche la galleria dei Quadri (o del Generale Berhier), dove si conserva la collezione di pitture della famiglia, con opere di Raffaello, Correggio, Tiziano e Guido Reni.
Al piano terra si aprono verso il giardino una serie di ambienti con decorazione a grotta, con motivi decorativi formati da ciottoli e piccoli sassi bianchi e neri e schegge di tufo, immaginate da Vitaliano Borromeo come luogo di frescura e diletto, popolate ancor oggi da oggetti frutto della sua passione collezionista.
Ai giardini si accede per mezzo del'”atrio di Diana”, che ha come scopo soprattutto quello di nascondere il disassamento tra il palazzo e il parco.
Da qui si passa al “piano della Canfora”, così detto per il monumentale albero impiantatovi nel 1820. In sei aiuole disposte simmetricamente sono ospitate numerose piante esotiche.
Sul lato meridionale il piano della Canfora è dominato dal “Teatro massimo”, articolato in tre esedre sovrapposte e caratterizzato da numerose statue. Alcune scale conducono alla terrazza superiore, mentre i lati digradano con quattro gradinate a stretti ripiani, a forma di piramide.
Verso sud si trova il “Giardino Quadro” con una vasca centrale e aiuole simmetriche decorate da siepi in bosso.
Nelle decorazioni spiccano i simboli presenti anche nell’arma dei Borromeo. L’unicorno per tradizione simboleggia l’onore, il valore e la devozione.
I tre cerchi d’oro a punta di diamante, intrecciati in modo tale che spezzandone uno anche gli altri due si disgiungano, simboleggiano l’unione indissolubile tra Borromeo, Sforza e Visconti.
La superficie dell’isola è occupata per gran parte dal Palazzo e dai giardini, ma nelle viuzze che si snodano lungo lo spazio restante è comunque bello lasciarsi condurre dai propri passi, tra negozi di souvenir e ristoranti caserecci.
Lasciata l’Isola Bella proseguiamo per l’Isola Superiore o dei Pescatori, che è l’unica dell’arcipelago ad essere stabilmente abitata. E’ la più piccola, ma ospita un borgo dalle caratteristiche case a più piani con lunghi balconi per essiccare il pesce. Vi si trovano una piazzetta, i caratteristici vicoli stretti, il lungolago e la via principale per permettere gli spostamenti rigorosamente a piedi dei pochi abitanti che vivono di pesca e turismo.
La chiesa di San Vittore era originariamente una cappella risalente all’XI secolo e venne ampliata in seguito in stile gotico. All’interno conserva affreschi cinquecenteschi e l’altare maggiore del seicento.
Probabilmente mi è rimasta qualche definizione da completare, la gita è stata breve e non so se ho trovato tutte le risposte ai quesiti, nonostante i suggerimenti fotografici.
Una cosa è certa: se non avessi scoperto che l’isola Bella prende il suo nome dalla consorte di Carlo III, non mi sarebbero comunque restati dubbi sull’etimologia di questo toponimo.
Buffo come a volte si danno risposte giuste anche se sembrano sbagliate.