Photography

A picture is worth more than a thousand words

In questi giorni sto scansionando centinaia di diapositive e di negativi appartenenti a clienti che hanno deciso di convertire i loro ricordi alla religione del digitale.
Conversione dettata non tanto da folgorazione sulla via di Damasco, quanto dal fatto che molti supporti di un tempo oggi non sono più leggibili a causa del prematuro invecchiamento dei macchinari che li rendevano fruibili.
Insomma da tutte queste splendide kodachrome e similari ne uscirà un bel “diaporama” facilmente godibile attraverso la televisione.

Sorvoliamo sul fatto che, anche nel caso in cui si tratti di un moderno schermo piatto da xx pollici, la qualità delle immagini in questione sarà irrimediabilmente perduta; sorvoliamo sul fatto che, essendo quasi tutte personnes agées che non hanno l’ordinateur, ci toccherà fare i numeri per convincerle a prendersi pure i files, perché sono quelli che conservano per davvero le loro immagini; sorvoliamo pure sul fatto che probabilmente quelle dia sopravviveranno molto più a lungo dei DVD che ne usciranno e probabilmente saranno gli unici formati ancora leggibili di qui a qualche decina d’anni…

Insomma, sorvolando sulle questioni più specificamente tecniche della cosa, quello che mi colpisce davvero al cuore nel fare questo lavoro è trovarmi di fronte a tanti e tali ricordi da sentirne quasi io stessa la nostalgia.
Sguardi, sorrisi, bambini, paesaggi e case che io non ho vissuto ma che giungono ugualmente ai miei occhi, entrano in qualche modo nella mia memoria, anche se solo sfiorandola.
Questo mi ha fatto riflettere una volta di più sulla potenza di questa forma di comunicazione, che -oltre ad essere spesso più eloquente di mille parole e possedere un linguaggio pressoché immediato- regala all’osservatore i panni dell’autore e si propone la condivisione più totale cui si possa aspirare. 

E la condivisione del proprio punto di vista è uno dei modi più profondi di amare che io possa immaginare.
Il dono del proprio sguardo sul mondo, la possibilità di mettere qualcun altro al tuo posto è come dire: ecco, io sono qui e desidero che tu sia nello stesso identico posto.

4 commenti

  • marco(a)

    E’ vero, chi “numerizza” ha sempre immagini interessanti e mai banali. Mille miglia lontano dalle migliaia di foto tutte uguali di persone in posa…e poi e’ anche un viaggio nel tempo….

  • accgian

    sto pensando a questo tuo lavoro…

    da un lato mi metterebbe un po’ di disagio pensare di far passare la mia vita sotto gli occhi di qualcun altro; nella vita siamo pubblici nel modo in cui vogliamo esserlo, c’è il blog, c’è il rapporto con gli altri, ma la foto (o alcune foto) rimane sempre qualcosa di personale.

    dall’altro, è un valore inestimabile il poter mostrare qualcosa di tuo ad altri e apprendere come un particolare di quell’immagine che tu hai sempre ignorato nelle 1000 volte che l’hai guardata, all’altro coglie l’attenzione e te lo fa notare e guardare con un occhio tutto diverso.

  • accgian

    … ops… scusate… è partito un altro periodo di m… (cicli e ricicli) …. perciò potrei essere emotivamente instabile (= matto come un cavallo, ma moooolto sensibile) … e nei commenti che scrivo diventa evidente….

    baci…

  • anto

    ehehe… risulta evidente che c’hai un cuore grande, direi…. ;)))
    sì certo hai ragione, se pensiamo nella fattispecie al lavoro che sto facendo io, è ovvio, a volte si ha la sensazione di violare un’intimità che non ci appartiene, per quanto questa “violenza” sia una necessità inevitabile…
    Ma quando una foto la mostri, la condividi, allora fai sì in qualche modo che quell’istante (con tutto il suo significato, manifesto o meno) appartenga un po’ anche all’altro. E’ una cosa grandiosa. 🙂